
Pubblicato il 10/10/2025
Alimenti fermentati e longevità: cosa ci insegnano Corea e Okinawa?
C’è un filo invisibile che collega il kimchi coreano al miso giapponese, passando per il natto, il tempeh, il doenjang e il gochujang.
Quel filo si chiama fermentazione.
E se si osservano i popoli più longevi del pianeta, quel filo diventa una trama ben chiara.
In particolare, in due luoghi: la Corea del Sud e l’isola di Okinawa, in Giappone.
Qui, la fermentazione non è solo una tecnica culinaria, ma una pratica quotidiana e profondamente culturale che affonda le sue radici in secoli di tradizione.
In particolar modo, oggi, sotto la lente della scienza, si rivela una strategia nutrizionale con effetti sorprendenti sulla salute e sull’invecchiamento.
La fermentazione: una tecnologia antica per un beneficio moderno
Fermentare significa trasformare un alimento grazie all’azione di microrganismi vivi – batteri, lieviti o muffe – che lo rendono più digeribile, più stabile e, spesso, più ricco dal punto di vista nutrizionale. In passato, era un modo per conservare i cibi.
Oggi sappiamo che è anche un modo per potenziare i benefici per la salute.
I fermentati, infatti, arricchiscono il microbiota intestinale, modulano l’infiammazione, migliorano l’assorbimento dei nutrienti e influenzano perfino l’umore, grazie all’asse intestino-cervello.
E non è un caso che proprio nelle culture alimentari più longeve del mondo – come quella di Okinawa o della penisola coreana – i cibi fermentati compaiano ogni giorno, a ogni pasto, senza eccezione.
Il caso Corea: il kimchi come pilastro nutrizionale
In Corea del Sud, il kimchi non è un contorno alimentare.
È un’istituzione.
Fatto con cavolo, aglio, zenzero, peperoncino e fermentato naturalmente per giorni o settimane, è parte integrante della dieta coreana.
Ricco di batteri lattici vivi, fibre e fitonutrienti, il kimchi ha effetti probiotici evidenti: regola la flora intestinale, supporta le difese immunitarie, riduce i livelli di colesterolo LDL e ha effetti antinfiammatori.
Studi epidemiologici hanno evidenziato che i sudcoreani che consumano regolarmente kimchi mostrano un profilo metabolico migliore, con incidenza ridotta di diabete tipo 2, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari.
Ma non solo. Il kimchi è anche legato alla salute cognitiva, grazie alla sua azione sul microbiota e sulla produzione di neurotrasmettitori.
Questo collegamento è particolarmente rilevante oggi, in un’epoca in cui si cerca di prevenire il declino mentale partendo dalla tavola.
Okinawa: il laboratorio vivente della longevità
L’isola di Okinawa è stata per anni al centro degli studi sulla longevità.
Qui, la percentuale di centenari è tra le più alte del mondo, e le persone arrivano a 90 o 100 anni con livelli di autonomia sorprendenti.
La dieta tradizionale di Okinawa è semplice ma funzionale: patata dolce, verdure a foglia, tofu, pesce e, soprattutto, alimenti fermentati.
Uno dei protagonisti è il miso, una pasta ottenuta dalla fermentazione della soia con riso e Aspergillus oryzae.
Viene consumato quotidianamente sotto forma di zuppa, accompagnando quasi ogni pasto.
Il miso non solo favorisce la digestione, ma contiene anche peptidi bioattivi che regolano la pressione sanguigna e sostanze antiossidanti che proteggono le cellule dallo stress ossidativo.
C’è anche il natto, un altro derivato della soia fermentata, noto per il suo odore pungente e la sua consistenza viscosa.
Al di là del gusto particolare, il natto è ricco di vitamina K2, un nutriente fondamentale per la salute cardiovascolare e ossea, e contiene un enzima – la nattokinasi – che aiuta a prevenire la formazione di trombi e coaguli sanguigni.
Un dettaglio che potrebbe spiegare la bassissima incidenza di infarti ed ictus tra gli abitanti di Okinawa.
Microbiota, immunità e infiammazione: il triangolo della longevità
Uno dei fattori chiave per spiegare il legame tra alimenti fermentati e longevità è il loro impatto sul microbiota intestinale.
Un intestino sano ospita miliardi di batteri buoni che interagiscono con il sistema immunitario, producono vitamine, regolano la permeabilità intestinale e impediscono la proliferazione di agenti patogeni.
Con l’età, il microbiota tende a perdere diversità dei suoi batteri, rendendo l’organismo più vulnerabile a malattie infiammatorie, immunitarie, disturbi metabolici e declino cognitivo. I cibi fermentati, specie se assunti quotidianamente come in Corea e Okinawa, rappresentano una fonte continua di batteri benefici e substrati prebiotici.
In pratica, nutrono il microbiota e lo mantengono attivo, proteggendo il corpo da quella che oggi viene definita “inflammaging” – l’infiammazione cronica di basso grado tipica dell’invecchiamento.
Un’alleanza tra cultura, gusto e prevenzione
Osservando queste due culture alimentari, emerge un punto fondamentale: la fermentazione non è una moda, ma un’abitudine culturalmente integrata, quotidiana, tramandata di generazione in generazione.
In Corea, ogni famiglia ha una sua ricetta di kimchi.
A Okinawa, il miso viene preparato secondo tradizioni che risalgono a secoli fa.
Non si tratta di aggiungere un probiotico in capsule, ma di introdurre il fermentato dentro l’identità stessa del pasto.
E in tutto questo, la scienza conferma ciò che la tradizione ha intuito da tempo.
Una dieta che include fermentati naturali e di diversa tipologia è associata a una minore incidenza di malattie croniche ed infiammatorie, a un miglioramento delle funzioni cognitive e a una maggiore aspettativa di vita in salute.
Non solo durata ma soprattutto qualità della vita.