Misofonia: l’intolleranza a specifici suoni 

Misofonia: l’intolleranza a specifici suoni 

di Dott. Sergio Carlucci

La misofonia è una reale condizione neuropsicologica in cui alcuni suoni specifici, solitamente legati a comportamenti umani quotidiani, scatenano una risposta emotiva sproporzionata.

È un disturbo che può avere un impatto significativo sulla vita di chi ne soffre, causando difficoltà nelle relazioni, interferendo con le attività quotidiane e generando reazioni emotive intense e talvolta intense.

Rabbia, irritazione, disagio fisico, ansia, Rabbia, irritazione, disagio fisico, ansia, repulsione: una tempesta dentro il cervello per un suono apparentemente innocuo. La misofonia è più comune di quanto si pensasse in precedenza, con stime che variano dal 10% al 60% nei pazienti con acufene. 

Negli ultimi anni, il termine “misofonia” ha cominciato a comparire in contesti clinici e neuroscientifici. Ma è ancora una condizione poco conosciuta, spesso sottovalutata o fraintesa, nonostante possa interferire in modo significativo con la vita sociale, lavorativa e relazionale delle persone che ne soffrono. 

 

Un suono, una reazione spropositata 

La parola “misofonia” significa letteralmente “odio per il suono”, ma ridurre tutto a una semplice “intolleranza” è riduttivo.

Chi vive questa condizione non ha un problema con tutti i suoni, ma con alcuni suoni specifici e ripetitivi, come il masticare, il deglutire, il respirare rumorosamente, il battito ritmico di un piede, il ticchettio delle unghie, il rumore della tastiera o delle posate che sbattono sul piatto. 

Questi suoni, detti “trigger”, innescano una reazione immediata:

il cuore accelera, i muscoli si tendono, la concentrazione si spezza. Subentra un impulso incontrollabile a interrompere il suono, ad allontanarsi, o in alcuni casi a reagire con aggressività verbale. Non è una questione di educazione o di rigidità caratteriale, ma una risposta neurofisiologica automatica. 

La reazione è così forte e automatica che spesso chi soffre di misofonia la descrive come un corto circuito: sa razionalmente che il suono è banale, che l’altra persona non sta facendo nulla di male, eppure non riesce a evitare la reazione di fastidio o rabbia. Questo provoca un senso di colpa, isolamento, e nei casi più estremi porta a evitare situazioni sociali pur di non esporsi al suono scatenante. 

 

Cosa succede nel cervello? 

Negli ultimi anni, la neuroscienza ha iniziato a indagare cosa accade nel cervello delle persone misofoniche.

Uno studio pubblicato su Current Biology ha rilevato che, in risposta ai suoni trigger, l’insula anteriore – un’area del cervello coinvolta nell’elaborazione delle emozioni e dell’autocoscienza – mostra un’attività anomala. Questa regione è collegata anche al sistema limbico, cioè alla rete che regola le reazioni emotive. 

In parole semplici, il cervello di chi soffre di misofonia percepisce i suoni trigger come minacce.

Non è una reazione cosciente, ma un’attivazione automatica simile a quella che si ha in presenza di un pericolo reale. Ecco perché la persona non può “calmarsi” semplicemente con la forza di volontà o con una spiegazione logica. 

Altri studi hanno osservato una maggiore connettività tra le aree uditive del cervello e le zone legate all’azione e alla reattività. Questo potrebbe spiegare perché la risposta alla misofonia sia spesso impulsiva, motoria, urgente. Non si tratta solo di ascoltare un suono sgradevole: è come se l’organismo si preparasse ad attaccare o fuggire, attivando il sistema nervoso autonomo, aumentando la frequenza cardiaca e la tensione muscolare. 

 

Chi ne soffre? 

La misofonia può manifestarsi in modo diverso da persona a persona.

Inizia spesso in adolescenza, ma può emergere anche più avanti, e colpisce uomini e donne in egual misura. Non è ancora chiaro se esista una base genetica, ma si ipotizza una componente neurobiologica ereditaria, legata a una maggiore sensibilità sensoriale. 

Spesso chi soffre di misofonia presenta anche tratti di ansia, disturbi ossessivo-compulsivi o iperattività. Non è raro che ci sia una certa sovrapposizione con l’iperacusia (una sensibilità anomala a tutti i suoni forti) o con disturbi della regolazione emotiva. 

In generale, chi ne soffre tende a nascondere o minimizzare il problema per vergogna, temendo di non essere capito. Questo porta a una sottodiagnosi, nonostante la condizione possa diventare invalidante, specialmente in contesti dove non è possibile controllare l’ambiente sonoro (scuola, ufficio, mezzi pubblici, convivenze). 

 

Conseguenze nella vita quotidiana 

I problemi legati alla misofonia non sono solo personali, ma relazionali.

Le persone con misofonia possono evitare situazioni sociali, avere difficoltà a concentrarsi sul lavoro o a scuola e sperimentare ansia e stress.

Spesso le reazioni intense si scatenano verso persone vicine: genitori, partner, coinquilini, colleghi. Il problema non è il suono in sé, ma il fatto che proviene da qualcuno con cui si ha un legame emotivo. Questo può generare incomprensioni, tensioni familiari, litigi o senso di colpa da entrambe le parti. 

Alcuni arrivano a modificare drasticamente le proprie abitudini: mangiano da soli, evitano riunioni, si isolano nei momenti di pausa, cambiano posto a tavola, usano cuffie costantemente. La qualità della vita ne risente in modo significativo, e spesso chi soffre di misofonia sviluppa una forma di ipervigilanza, vivendo nell’attesa del “prossimo suono scatenante”. 

 

È possibile curarla? 

La misofonia è ancora un disturbo poco conosciuto e non esistono trattamenti farmacologici specifici.

Attualmente, non esiste una cura standard per la misofonia, ma la ricerca sta facendo progressi. I trattamenti più efficaci sono quelli che combinano approcci comportamentali, psicologici e neurologici.

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si è dimostrata utile per lavorare sulla risposta emotiva al suono, insegnando strategie per ridurre l’impatto del trigger. 

Alcuni centri sperimentano la desensibilizzazione sistematica, cioè l’esposizione graduale ai suoni scatenanti, in un contesto sicuro e controllato, per aiutare il cervello a disinnescare la risposta automatica. La mindfulness e le tecniche di regolazione emotiva possono aiutare ad aumentare la tolleranza e a ridurre la reattività fisiologica. 

In parallelo, esistono strumenti pratici che possono supportare la quotidianità: cuffie con rumore bianco, ambienti acusticamente protetti, applicazioni per generare suoni neutri, dialoghi familiari basati sull’empatia e sulla condivisione. Fondamentale è non isolarsi e non colpevolizzarsi, ma riconoscere la condizione come legittima, reale e affrontabile. 

Attualmente, la ricerca scientifica sulla misofonia è in corso per comprendere meglio le cause e i meccanismi di questo disturbo e sviluppare terapie mirate per migliorare la qualità della vita delle persone che ne soffrono. 

 

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